PRIMO TEMPO

E’ quasi l’alba e un gruppo di persone assonnate e un po’ confuse caricano degli strani oggetti a due ruote su uno strano contenitore a forma di cubo. Poco più avanti un pullman.

Arrivo e ho la fortuna di avere dei buoni amici. Prima delle nove il mio mondo relazionale e comunicativo rasenta lo zero. Delego la bici, consegno l’auto, non mi resta che salire.

Complice di uno strano farfuglio generale mi siedo lato finestrino in un posto a caso e riprendo sonno. Solo dopo tre ore ritorno alla luce e inizio a capire che dentro quel grande contenitore ci sono un sacco di persone, di tutte le età, e di tutti i tipi. C’è chi come me se ne sta in silenzio a leggere e riflettere, chi conversa con il vicino, chi scherza e ride, chi grida, chi gira per il corridoio centrale, chi si coccola, c’è anche un pelato che ogni tanto parla al microfono. Siamo in tanti, tutti legati a quel cubo che sta dietro, pieno di strani oggetti a due ruote.

Il viaggio d’andata è rapido e spensierato, prendiamo anche una barca gigante. Arriviamo presto sull’isola. La giornata è splendida, il sole ci riscalda. Non dobbiamo fare nulla, l’amico Andrea ha già pensato a tutto. Mi consegnano una chiave, la prendo alzando lo sguardo e ringraziando. Un villaggetto di casette con un ampio prato  e delle stradine fa capolino tra vasi di fiori giganti e olivi. E’ quello che sognavo e aspettavo da mesi. Apro la porta della stanza, lancio la valigia e corro subito ad esplorare quel fantastico micromondo con al centro un’elegante vasca azzurra con degli sdrai bianchi tutt’attorno.

Tra le varie faccende d’accomodamento il primo giorno passa veloce. Le persone sono tutte sedute attorno a grandi tavoli ad assaporare il cibo tipico del luogo. Un liquido giallo riempie i bicchieri di molti, ha quasi le sembianze di una pozione magica. E lì, tra una storia di vita e un racconto di qualche avventura passata in bicicletta si consuma la cena, ben annaffiata, con tanto di acquavite. Tanto domani non devo fare nulla, ho solo un appuntamento con la piscina.

SECONDO TEMPO

Nessuno ha russato e la notte è passata via liscia. Io e i miei due coinquilini ci svegliamo allegri nella nostra casetta tra prati e ulivi. Appare subito chiaro che tra di noi ci sono delle sostanziali differenze: loro sono bianchi mentre io sono colorato. Loro si infilano una tutina aderente e delle scarpe nere e rigide, mentre io m’infilo il costume e un paio d’infradito.

Siamo diversi si… ma tutti sorridenti e desiderosi di divertirci, ognuno a proprio modo oggi. Domani invece saremo tutti sulla stessa barca.

Tra un tuffo in piscina, la visita al paese vicino, foto, panini, caffè, gelato e quant’altro la giornata se ne va.

Le mie gambe e il mio cuore rimangono a riposo oggi, negli anni ho coltivato la dote della pazienza e del saper aspettare. A me va così! Mi piace esplorare i posti anche a piedi, assaporare l’essenza dei luoghi, osservare la gente, vedere come si comporta, andare piano. Riposare.

Stasera la cena è leggera e il mio bicchiere è bianco, non più giallo.

Le luci si spengono presto al magico villaggetto appena sotto Capoliveri. Io e i miei due compagni ci scambiamo la buonanotte. Mi addormento per ultimo e penso che alle cose belle ci si abitua in fretta.

TERZO TEMPO

Respiro, respiro forte. C’è uno strano odore attorno a me, un misto tra profumo di bucato di divise lavate da mogli indaffarate e gomma, copertoni, olio. A tratti canfora. Dopobarba. Siamo in griglia, un posto particolare, dove i sensi si attivano e la vita viaggia ad un livello sopraelevato. Qui i rituali scaramantici del pre-gara si consumano come non mai. Controllo ruote, controllo freni, controllo integratori, controllo casco e guanti, controllo del vicino, controllo del ca….o.

Per una volta ho pensato di controllare solo me stesso e anche poco. Sulla mia bici oggi porto solo da bere. Ho lasciato a casa tutto, contachilometri, cardio-frequenzimetro, orologio. Non voglio leggere numeri, voglio solo guardare. Non voglio contare il mio cuore, lo voglio solo ascoltare. In un posto come questo, in una gara come questa, corpo e ambiente devono comunicare il più possibile e lo possono fare solamente se si lasciano andare. I dati non servono.

Si parte, tutt’attorno le transenne pullula di gente che guarda, grida e incita. Non importa chi, in quell’attimo c’è una buona parola per tutti.

La prima salita inizia presto, lascio che i più vadano avanti, me la prendo comoda e inizio ad ascoltare. Il cuore sale, la pelle si inumidisce, le ruote scorrono, le gambe girano, il fiato si fa corto, inizia la magia. Non è facile da spiegare. C’è una strada, buche, pietre, terra. Ci sono io. In mezzo c’è Lei: la bicicletta. E’ lei il legame tra me e gli elementi. Corri, corri e pian piano tutto si fonde in un tutt’uno che solo nella gara può accadere. Non esiste più nulla, i pensieri di sempre svaniscono. Tu, la bici e la Terra diventate la stessa cosa. Io lo faccio per sentire questo. Non ho voglia di leggere quanto durerà, ho voglia solo di viverlo il più possibile, di sentire il sangue scorrere, e i polmoni lavorare. Si vola sull’Elba.

Salite nervose e sfinenti, discese al limite. Le biciclette ballano tra sassi, radici, canaloni, sentieri e quando ti senti stanco, premi un po’ il freno, giri la testa e ti accorgi che l’azzurro del mare ti accompagna praticamente sempre alla tua destra. Lungo la strada incrocio i miei compagni. Sono li come me. Sudati, impolverati, sporchi, stanchi. E’ quello che infondo vogliamo. E’ quello che ci fa sentire vivi.

Il mio svuotarmi e riempirmi di tutto questo dura poco più di quattro ore, tutto quello che il mio corpo e la mia mente potevano darmi.

QUARTO TEMPO

Un banchetto pieno di cose semplici, ma che in quel momento sembra il bancone delle Calandre. Il traguardo è appena alle mie spalle. Si ritorna lentamente alla normalità… ma con calma. Senza accorgermene scelgo di tornare bambino. Pane e nutella, erano anni che non la mangiavo. Ne prendo più pezzi. Gli amici al traguardo che mi hanno preceduto e quelli che aspettano pazienti all’arrivo mi vengono incontro, chiedono. Ma la nutella è più forte di tutti, ho la bocca piena, non riesco a rispondergli, mi faccio incastrare giusto per una foto di gruppo, prendo la biga e fuggo, per poter conservare il più a lungo possibile le sensazioni incontaminate che ho raccolto lungo il percorso. Per condividerle ci sarà tempo poi.

Ritorno al villaggetto che pullula sempre di gente, ma questa volta non parlano o se lo fanno la loro voce è bassa, lenta. Sono stanchi e probabilmente anche loro pieni di emozioni da decantare.

Doccia, carica, monta parti.

E’ il ritorno, mai voluto ma necessario.

Si rientra in terra ferma. Ognuno con qualcosa di nuovo da raccontare, girano anche degli strani pezzi di ferro bronzati con un nastro colorato.

Nel pullman ora i discorsi sono diversi. Sento parlare di un vulcano e di un’altra isola lontana. Montagne, lava, mare, bici, chissà se ci sarà un’altro villaggetto con gli ulivi anche là?

Chissà se l’omino pelato col microfono dell’andata mi ci porterà?

Io ci voglio andare. Senza tutto questo non si può stare.